ho sposato un vegetariano

Veramente quando l’ho sposato non lo era, poi… tornò da una lunga vacanza  solitaria in moto e mi chiese di insegnargli a cucinare le cose più semplici: la frittata, la pasta, una minestra…

Non ne vedevo la necessità e allora mi spiegò che aveva deciso che non avrebbe più mangiato cibi che provenissero da un animale ucciso… Insomma era diventato vegetariano per motivi di non violenza e  siccome avevamo tre figlie ancora piuttosto piccole pensava che non poteva condizionare l’alimentazione di tutti e allora si sarebbe cucinato da solo in modo da non far pesare su noi le sue scelte.

vegetariani-piattiNon sembra una gran notizia adesso, ma si deve pensare che era all’incirca il 1975-76 : allora non solo non era di moda ma era anche difficile far capire cosa significasse.

Ricordo lunghe indagini sul menù e spiegazioni al ristorante… le facce perplesse dei camerieri, le porzioni enormi di verdure che gli proponevano nel tentativo di supplire con la quantità la mancanza dei cibi considerati  “nutrienti”…

Insomma una scelta di avanguardia, ma portata avanti con senso di misura e anche senza integralismo.

Durante un viaggio in Tunisia gli capitò di essere ospite di una famiglia tunisina e di essere invitato a cena: si trovò con gli ospiti attorno al grande piatto di cous – cous come per tradizione condito con verdure e bocconi di agnello da cui si attinge con le mani…!

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“lo hai mangiato? Come hai fatto?”

“Ho pensato: se non lo mangio li offendo senza poter fare capire perché lo faccio…e allora ho pensato che il rispetto dell’ospitalità era più importante così ho mangiato… cercando di prendere dove c’era meno carne… ”

Qualche giorno fa ho sentito una vegana pontificare con arroganza su come e cosa si deve mangiare e su come sono disprezzabili tutti quelli che mangiano in modo diverso… ho capito che fortuna ho avuto a sposare uno che le scelte le fa con giudizio e senza integralismi… del resto dico sempre che sono stata furba, più che fortunata.

arcimboldo  Una annotazione a margine: all’epoca io fumavo e lui no, io bevevo vino e lui no, io mangiavo carne e lui no…. al momento del conto quasi tutti i camerieri, dopo un attimo di incertezza, ilconto lo presentavano a me.    Perché i pregiudizi si annidano  e prosperano ovunque.

 

tempi duri per la maestra di montagna

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l’Abbazia di Valdicastro in fondo alla sua conca

Quando sento parlare delle difficoltà del lavoro degli insegnanti penso a come era quando ho cominciato io, nel 1964.
Non era poi così facile come si immagina.
Personalmente lavoravo in una fabbrica e per vincere il concorso alla sera studiavo fino dopo mezzanotte sui libri presi in prestito dalla Biblioteca Comunale che, grazie alla benevolenza del Direttore,  ogni sera i miei andavano a prendere e riportavano poi al mattino dopo…
Riuscii a vincere il mio concorso fra i primi delle centinaia di concorrenti, e i miei primi passi furono come minimo avventurosi come ho raccontato qui e qui, ma c’era chi aveva più problemi di me.
Per esempio in tanti si sottoponevano a sacrifici come accettare sedi disagiate lontane da tutto e con scuole pluriclasse perché questo faceva guadagnare un punteggio molto elevato che dopo qualche anno sarebbe stato utilissimo per  essere nominato titolare di una sede vicina a casa… si chiamavano le “sedi di montagna”.
Uno dei miei primi colleghi accettò la sede della scuola pluriclasse  di Pierosara.
L’aula era al primo piano di una casa mal messa; un giorno camminando fra i banchi si affacciò alla finestra e appena si ritrasse di qualche passo i mattoni su cui era prima appoggiato crollarono e finirono di sotto, dove c’era la stalla dei conigli… Lo ricordo ogni volta che adesso vado a Pierosara per una passeggiata.

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un’aula degli anni 50

Ma c’era anche di peggio: esisteva un particolare contratto in cui l’insegnante veniva assunto e stipendiato solo pro forma (soprattutto con vitto e alloggio) dalle famiglie che abitavano troppo lontano da qualunque scuola e lo Stato, a cui sarebbe spettato l’onere di provvedere alla scuola obbligatoria, offriva all’insegnante l’assistenza sanitaria e i contributi per la pensione oltre a preziosissimi punti che facevano valere ogni anno come tre o quattro anni normali. Si trattava di vivere praticamente senza stipendio in posti davvero impervi, magari con due o tre alunni di età diverse… una condizione davvero difficile per dei giovani abituati se non altro ad una vita sociale fra i propri coetanei.
Ho conosciuto una di queste maestre: insegnava all’Abbazia di Valdicastro, per raggiungere la quale bisogna prima salire fino a circa 1000 metri e poi scendere fino al fondo della stretta valle dove sorge isolata l’abbazia.
Lì vivevano mi pare tre bambini, figli del proprietario dell’azienda agricola e di alcuni dei massari.
Veniva da Ancona e di solito il venerdì il mitico tassinaro di Borgo Stazione la andava a prendere in tempo perché potesse salire a Serra S.Quirico sul treno per Ancona da dove tornava al mattino del lunedì per venire accompagnata nuovamente a Valdicastro.
Nell’inverno del 1965 (credo) il tassista arrivò a Valdicastro  di mercoledì e disse alla maestra di prepararsi perché era meglio che la portasse via che il tempo non prometteva bene.
Lei protestò che non era proprio il caso e che la tornasse a prendere al solito. Lui le rispose che sarebbe sì tornato, ma non sapeva davvero quando…
Quella era gente che il tempo lo capiva e infatti nevicò e nevicò…tutte le scuole furono chiuse e poi riaperte giorni dopo, ma Valdicastro restò isolata per un paio di settimane e fu rifornita con l’elicottero…
Quando le camionette della forestale aprirono la strada dietro c’era anche il tassista: la maestra lo abbracciò come fosse il padre e scusandosi gli promise che a qualunque ora in qualunque giorno lui le avesse detto in futuro “andiamo” lei sarebbe andata.
L’abbiamo festeggiata vedendola arrivare alla stazione: dimagrita e con gli occhi spiritati; se l’era vista davvero brutta.
Storie che sono del secolo scorso, é vero, ma sembrano ancora più antiche.

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la nevicata del 2012
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