arrivò il ’68 e ci trovò in tinello

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Ad anni di distanza gli storici dicono che già da un po’  c’erano tutti i sintomi  del cambiamento epocale che il ’68 portò nelle nostre vite. Noi non ci eravamo accorti di niente, occupati come eravamo con il lavoro  appena trovato e l’intenzione di sposarci e mettere su casa…
I nostri obiettivi erano: una casa semplice con il necessario, ma senza lussi e vivere insieme finalmente liberi di noi stessi, senza dover sottostare alle proibizioni della famiglia: mai usciti alla sera da soli, mai un viaggio da soli. Non fare questo non fare quello, non suscitare i pettegolezzi (siamo in provincia)…

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Insomma avevamo un gran desiderio di libertà e di autonomia, ma in fondo dei miti borghesi, aspirazioni e ideali per bene, senza trasgressioni e senza eccessi….
Ci parevano già molto coraggiosi e all’avanguardia i propositi che avevamo fatto: lasceremo che i nostri figli a 18 anni  se ne vadano per conto loro  (!)…e  le responsabilità della casa ce le divideremo alla pari…
Per la questione 18 anni lasciamo perdere, ma per la parità abbiamo mantenuto le promesse: così per esempio G. fu il primo uomo della nostra cittadina a spingere per il Corso la carrozzina con la nostra prima figlia, guardato con curiosità un po’ da tutti e lui per sdrammatizzare aveva montato un clacson sul manubrio… e alla notte quando le figlie si svegliavano chiamavano “babbo” perché lui era più pronto di me ad accorrere.
Insomma moderni, ma nella normalità.

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E avevamo anche il tinello, davvero, anche se era meno brutto di quello nell’immagine.
Poi arrivò il ’68, tutto o quasi quello che sapevamo e in cui credevamo di credere venne criticato, condannato, ridicolizzato  e gettato alle ortiche.
E noi che avevamo appena messo le basi della nostra famiglia “per bene, tranquilla e rispettabile” ci trovammo presi in mezzo.
Ma le motivazioni, le ragioni di fondo ci convincevano e ci provocavano.
Non si poteva buttare tutto e allora ci adattammo. Il tinello e anche la sala da pranzo divennero un punto di riferimento per torme di ragazzi poco più giovani di noi che però erano ancora studenti, che discutevano, ragionavano, cantavano, passavano il tempo nella nostra disponibile casa e noi così partecipavamo al “movimento” anche se con i figli a carico.

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J.Mirò: Maggio 1968

Non è stato facile e probabilmente la nostra soluzione non sarà stata la più giusta o opportuna, ma certo che se i cambiamenti epocali ti arrivano addosso proprio quando hai già  firmato le cambiali per i mobili del tinello non si può pretendere…

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motti di famiglia

I motti di una famiglia sono molti perchè molte sono le situazioni e le persone.

Dunque nella nostra ce n’é anche uno che appartiene a V. che l’ha creato.

E’ in dialetto romagnolo riminese e dice:

“e po es enca un ben” e cioé “potrebbe anche essere un bene”

In tempi difficili per la nostra famiglia quando ci si barcamenava a fatica fra i debiti e le difficoltà del lavoro ogni tanto capitava qualcosa che.. peggiorava la situazione.

Allora ci sentivamo a terra ed ecco V. che con la flemma che lo caratterizza da sempre esclamava il suo “E po es enca un ben” e, fra i vaffa generali, era anche capace di spiegarci il perché;  ogni volta ci dimostrava in che modo, cambiando punto di vista, quello che poteva sembrare un evento drammatico avrebbe potuto rivelarsi un’opportunità.

Sua moglie lo ha minacciato più volte di tirargli delle stoviglie se si fosse azzardato a dirlo, ma piano piano abbiamo imparato a rispettare l’atteggiamento di V. , a pensare anche noi in modo creativo, a dire anche noi, sorridendo, che “e po es enca un ben”, insomma forse le cose non sono poi così brutte come sembra..

Non è stato sempre vero, non ha funzionato proprio sempre, ma ci ha aiutati molto molte volte.

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