giocando sotto la pioggia

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i bambini del nido 44 gatti di Jesi che sperimentano pioggia e pozzanghere…

Vedere questa bella immagine, postata da Francesca Ciabotti che illustra un’attività svolta al nido 44 gatti di Jesi, (“Ma che bella giornata!” dice un bimbo al rientro……) mi ha ricordato un’esperienza di molti anni fa.

Allora, quando erano una rarità, abbiamo avuto una alunna straniera, olandese, figlia di una famiglia di imprenditori che aveva deciso di impiantare una fabbrica di abiti maschili qui da noi.  La mamma era una puericultrice laureata nel suo paese e con lei facevamo chiacchierate interessantissime e piacevolissime di scuola e di didattica.

È stato così che ho scoperto che il gioco che noi chiamiamo “Quattro cantoni” in Olanda lo chiamano “Quattro alberi”…

“Curioso – ho osservato – noi, che abbiamo sicuramente un clima più favorevole al gioco all’aperto, lo chiamiamo con un nome che richiama il gioco al chiuso e voi, che avete sicuramente più giornate di pioggia, gli date il nome di un gioco da fare all’aperto!”          “È che voi italiani avete una gran paura di far stare i bambini all’aperto; noi dobbiamo abituarli al nostro clima e poi il regolamento statale prevede che i bambini stiano all’aperto almeno una mezz’ora al giorno, a scanso di provvedimenti disciplinari per gli educatori ”.

Proprio come da noi….! A quei tempi ci capitava spesso di essere gli unici a giocare fuori, e facevamo di tutto per portare fuori i ragazzi il più possibile, ma con tanti  genitori è stata una lotta continua…

Adesso vedere  che si portano a giocare con pioggia e pozzanghere i bambini così piccoli mi riempie di speranza: qualcosa cambia, ma quanto  lentamente…!

sotto la pioggia

l’invenzione della “minestrina”

una minestra qualunque che è diventata unica…

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Non sono una brava cuoca, per anni sono stata presa in giro dai miei perché il menù che potevo offrire era estremamente ridotto. tre o quattro cose e le più scontate.

Insomma a me le trasmissioni di cucina alla tv mi annoiano a morte: sono contenta che ci sia gente che cucina bene e se lo fa in un locale pubblico vado volentieri a mangiare e amen.

Con gli anni sono un po’ migliorata soprattutto per rispondere alle esigenze di mio marito, vegetariano storico (da più di quarant’anni, da quando bisognava spiegare cosa significava).

Ho imparato, pare, a fare ottime zuppe (che non assaggio nemmeno per sentire se vanno bene di sale come racconto qui), il ragù tradizionale alla bolognese  e poche altre cose molto tradizionali ed estremamente popolaresche (polpette, spezzatino, peperonata…).

Qualche anno fa è capitato che in seguito a una paio di interventi chirurgici il mio marito vegetariano avesse la necessità di recuperare le forze cosa che richiedeva un apporto vigoroso di proteine che lui non poteva fare attraverso generose porzioni di filetto al sangue come sarebbe stato necessario… e in più non aveva appetito.

È stato così che mi sono inventata la minestrina: pastina di piccolo formato come semini, filetti, quadrelli, cotti in acqua (dato che il brodo vegetale gli risultava sgradito) e condito con burro e parmigiano abbondanti e di qualità. Lo so che non l’ho inventata io, che è la scoperta dell’acqua calda (anzi del condimento in bianco), ma per casa nostra era un inedito e così diventò “la minestrina” per antonomasia.

Mio marito la mangiava volentieri sia per il sapore che forse gli ricordava l’infanzia sia poi perché era facile da mandare giù.

Si è rimesso in sesto e per un po’ della “minestrina” non se ne parlò più, tranne quando in certe fredde sere d’inverno aveva voglia di cibo consolatorio.

La cosa buffa è capitata poi quando mi  è successo di servirla a Giovanni, il nipote che allora aveva forse tre anni: entusiasmo alle stelle e da allora spesso la chiede e ne fa fuori più di un piatto, con voracità.

Ultimamente si è domandato come mai non la si trovi mai nei menù dei ristoranti eppure secondo lui sarebbe certamente gradita e anche utile “ per molte persone anziane, per dei nonni e anche per dei  vegetariani… e poi così la nonna potrebbe diventare ricca con i diritti d’autore!”

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