Una nonna diversa

sui nonni c’è una vasta letteratura e una ancora più vasta e consolidata iconografia a tinte rosee nella quale mia nonna non trova posto

Nonna Pasquina… la mia nonna materna, l’unica che ho conosciuto. Pensare a lei non mi fa venire in mente coccole, torte, pizzi, favole, ninne-nanna, non era una nonna così. Era molto riservata e sobria nel manifestare i suoi sentimenti, anche l’affetto del quale tuttavia non ho mai dubitato.  Era una donna forte, decisa, determinata, abituata alla battaglia quotidiana con i problemi del vivere. Tranne questa non ci sono fotografie che la ritraggano giovane che al suo tempo erano costose, si era poco vanitosi e le fotografie si riservavano ai momenti o alle occasioni speciali

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Questa foto è stata fatta per essere inviata a suo marito, al nonno Oreste detto Gela, che una volta tornato dalle battaglie della Grande Guerra a cui era stato mandato giovanissimo era dovuto emigrare in Argentina a fare il facchino e da lì tornò col denaro sufficiente a comprare la casetta dove avrebbe vissuto la famiglia per tutta la vita e dove poi ho abitato anche io negli anni della scuola media.  Lo scopo di questa foto dunque era l’informazione: mia nonna  doveva far sapere al marito, in America da qualche anno, come stavano lei e i loro figli.

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Oreste Giorgi, detto Gela, mio nonno in una foto forse proveniente dall’Argentina dove era emigrato. Mi viene sempre in mente questa foto quando ascolto “Amerigo” di Guccini

Allora ha tirato a lucido i bambini,  ha spazzolato i capelli della mia mamma, quella più grande, legandoli con un bel fiocco. Tutti si sono messi  i vestiti migliori e  si sono fatti una camminata fino in paese, dal fotografo che li ha messi in posa.

Mi colpisce un particolare che ho ritrovato in tante foto di quel tempo e di quel tipo di gente: le scarpe. Le scarpe sono sciupate, scalcagnate….mal messe; erano costose e mentre tutto il resto è stato tirato a lucido e mostrato al meglio alle scarpe non si poteva fare niente, quelle erano!

In questa foto c’è mia madre, la ragazzina più grande con i bei capelli lunghi, un gran fiocco, lo sguardo vivace e un sorriso dolcissimo. 

C’è lo zio Alfredo molto preso dagli armeggi del fotografo e la piccola zia Luigia, con un mazzolino di fiori in mano un po’ moscio e l’espressione guardinga.

E la nonna, bella, con il viso severo e la veste sobria, è l’unica che guarda direttamente l’obiettivo, senza timore o imbarazzo. Era così, niente le metteva soggezione né la abbatteva. Una combattente nata, e per fortuna che da combattere ne ha avuto! 

Crescere tre figli da sola e dovendo lavorare per tirarli su… faceva di tutto, era specializzata in commissioni nel senso che spicciava faccende per le persone che la incaricavano, comprava e vendeva uova, polli, qualunque cosa, era sempre in azione, sempre indaffarata, sempre a cercare come “garavellare” (così lo definiva lei in dialetto il guadagnare) qualcosa, era svelta di mente, la sua furbizia era riconosciuta da molti che l’avevano soprannominata con rispetto “la faina”.

Anche da anziana era magrissima, dritta e agile, sempre in faccende. Di lei ricordo anche le mani nodose: basta che mi guardi le mie, sono le stesse! Era forte e sana, ma quando fu possibile avere i medicinali con la mutua le piaceva andare dal medico condotto per farsi prescrivere qualcosa, magari una pomata o un ricostituente che all’epoca negli anni ’50, andavano di moda.

In famiglia è rimasta famosa la sua richiesta “Sgnour dutour c’um déss un ount?” “Signor dottore e se mi desse un unguento?”

Camminava, camminava, nessuna distanza le metteva pensiero se c’era in vista un guadagno magari piccolo. Così un giorno mentre per una certa faccenda stava andando da Santarcangelo a Savignano  sul Rubicone (sono circa 10 chilometri) con un fagotto sulla testa la incontrò il suo medico che si fermò apostrofandola: “Pasquina ma dove vai, fai a piedi tutta questa strada e poi vieni da me a farti dare il ricostituente, vero?”  e le dette un passaggio.

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la casa a un piano, la cucina e due stanze, latrina sul retro, frutto del lavoro da emigrato in Argentina di nonno Gela

Non ho ricordi di manicaretti che cucinasse, il cibo era estremamente semplice e spartano. Certo piadina, ottima e tanto diversa da quella che adesso passa sotto questo nome, ma di lei ricordo l’uovo al tegamino che spesso mi preparava a pranzo quando tornavo tardi da scuola, l’uovo che aveva un sapore mai più trovato (!!) e poi lo zabaione che mi obbligava a mangiare perché ero gracile e in più stavo sempre sui libri, due cose che la preoccupavano molto, lei analfabeta e vigorosa come era. Io non lo potevo soffrire e lei arrivava persino a “pagarmi” una moneta per ogni zabaione  ingoiato…

Una nonna ruvida, ma che aveva sempre qualche soldo, messo insieme con fatica, che tirava fuori dalla tasca nascosta del suo grembiale e che mi regalava sapendo bene che sarebbe finito in libri e giornaletti. Insomma come nonna non è stata proprio come una figurina da libro di fiabe, ma come donna una immagine di forza e di determinazione che ho sempre in mente; mi accorgo adesso che non l’ho mai sentita lamentarsi, mai, di niente…. Ha espresso il suo amore per me in armonia con il suo carattere e la sua storia, e io non ne ho mai dubitato.

Mia nonna, Pasquina Carabini in Giorgi, nata negli ultimi anni dell’800!  

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la casa dei nonni con la piccola siepe di bosso davanti e in primo piano l’orto-giardino acquistato molti anni dopo e curato amorevolmente dallo zio Alfredo

 

 

 

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