imparare a memoria…

imarare a memoria brani letterari… una pratica quasi dimenticata da rivalutare

images-1.jpgMi pare che questo argomento in questo blog ci stia proprio bene: imparare a memoria, una cosa che ci ricordiamo noi che abbiamo un’età.

Una delle pratiche scolastiche più criticate e osteggiate eppure…  Io ho dovuto imparare a memoria un mucchio di cose, filastrocchine insulse, brutte cosiddette “poesie” e tante parole belle.

Mandare a memoria Carducci era facile: tambureggianti come sono i suoi versi, con un bel po’ di parole astruse, ma in fondo  parapà parapà pappapero. Ma ce ne erano di quelli che bisognava impegnarsi per ricordarli. Tanto Dante mi hanno fatto imparare, e Leopardi e Pascoli, Dannunzio (anche la pioggia nel Pineto ovvio!) e Manzoni, a parte i brani dei Promessi sposi anche lui aveva parecchi parapà (Ei fu. Siccome immobile…)

images.jpgCon Manzoni ho un fatto personale: avevo imparato a memoria il discorso del vescovo Martino dall’Adelchi un brano lunghetto e piuttosto ostico. Per  non annoiarmi lo leggevo e ripetevo come se avessi dovuto declamarlo a teatro.

Il giorno dopo in classe entra il Preside, che curava personalmente le classi che dovevano fare la maturità con incursioni temutissime. E mi interroga. Comincio a recitare il mio vescovo Martino e vado avanti avanti sempre più preoccupata; infatti di solito ti facevano dire una parte poi ti chiedevano di fare la “parafrasi” insomma spiegarla e commentarla… continuavo ad andare avanti e pensavo:  “Oh, madonna! quanta me ne fa spiegare” e invece una volta finito mi fa i complimenti e mi manda a posto con un volto altissimo mi pare 9 o forse addirittura 10. Una mia collega storse un po’ il naso e il Preside le spiegò che se uno la diceva così era inutile chiedere le spiegazioni perchè era evidente che aveva capito. Una grande soddisfazione che mi ripagò ampiamente della fatica.

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Poi ci sono state le poesie e i brani scelti da me , senza obblighi scolastici, quelli che  ho imparato a memoria per poterli portare  sempre con me, per farmi coraggio, compagnia, per sentirmi capita e in comunione con l’autore.

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Ecco a questo é servito per me l’abitudine ad imparare a memoria, avere dentro il mio cervello le parole che  descrivevano un momento, una emozione, un sentimento, una situazione, una idea, un principio.. ma in quel preciso modo, con quelle precise parole, con quel ritmo che le rendono speciali, con le quali l’autore le ha dette costruendo una magia straordinaria, poesia insomma.

Adesso mi capita spesso, in situazioni le più diverse, di scoprire che nel mio cervello escono fuori da sole le parole di qualcuno, imparate chissà quando, che sono perfette, un commento assolutamente preciso e senza che mi debba sforzare a cercarlo… Dunque sono ampiamente ripagata dell’impegno che ci ho messo.

Ma a volte la memoria fa scherzi strani: mi capita di ricordare cose… che non ho imparato. Per esempio ci sono versi di Lorca che così come li ricordo io… non ci sono in nessuno dei suoi testi che ho… deve averlo rielaborato la mia memoria, magari per vendicarsi

 

la memoria della terra

la cannaErano gli anni ’70 quando il torrente che scorreva qui è “scomparso”  sotto l’avanzare delle case nuove. Il sentiero che lo fiancheggiava, detto “l’erbarella” , adesso è una strada piuttosto frequentata sulla quale è stato creato un piccolo parco pubblico con alberi, siepi, cespugli scelti con intelligenza e sensibilità
fra le specie che caratterizzano il nostro paesaggio: gelsi, biancospini, querce, aceri

Nel prato puntualmente si vede spuntare un ciuffo di canne comuni, quelle che fiancheggiavano il torrente allora e che testardamente continuano a crescere, puntualmente tranciate dalla macchina che rasa il prato…
Passo di lì ogni giorno e spio l’evolvere di questa storia che vede per protagonisti la meravigliosa testarda  memoria della terra che dopo decenni ancora “sa” che la canna cresceva lì e ancora prova a farla vivere e la cecità ottusa di chi  ha piantato nel  posto che era suo delle piante falsamente  “spontanee”
Qualche giorno dopo la foto è passato il tosa erba… ma io lo so che a primavera spunterà di nuovo e nel frattempo proverò a trovare il modo di dare a questa tenace canna almeno un’altra chance.arundo-donax

 

chi ricorderà?

Quando uno storico o un archeologo vuole la conferma dell’ipotesi che ha formulato su qualcosa che dovrebbe essere accaduto  in un certo posto, fa una indagine accurata sui nomi  che gli abitanti  del luogo danno o davano a quel luogo e così per esempio ci sono storici che sono riusciti a seguire le tracce della presenza di Annibale nelle sue peregrinazioni per l’Italia anche raccogliendo le informazioni sui vari “passo o via o campo di Annibale” che sono tanto diffusi nel centro sud d’Italia.

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Sul Gran Sasso, a Campo Imperatore qualche tempo fa avevo scoperto il canyon di cui ho raccontato e cercavo chi mi potesse dire come chiamavano localmente quella gola quando ho visto un piccolo gregge che stava incamminandosi verso l’imboccatura del canyon stesso. Tutta speranzosa mi sono fatta incontro al pastore che le accompagnava.
Era serbo, parlava pochissimo l’italiano e con quel poco mi ha detto che non ne sapeva niente.
Fra un po’ chi ricorderà? A chi chiederemo il nome e la storia?

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ps.: il nome l’ho poi trovato anzi ne ho trovati due, Canyon dello Scoppaturo o gola della Vallianara…

L’importanza del nome 2

Dare il nome a un bambino nuovo é un gesto importante e decisivo.
Sarebbe bene che ci pensassero quelli che battezzano le Debore con acca o senza, i Gionata (!) e via andare, dietro alle mode televisive.
Anche nella Romagna della mia infanzia i genitori spesso mettevano nomi estranei  alla cultura locale, ma almeno non si ispiravano a mode effimere e a idoli inconsistenti.
Chi aveva l’animo ribelle e la fede  in un Ideale con la maiuscola  quando si trattava  di dare il nome ad  un figlio coglieva l’occasione per affermare il proprio credo.
Così  oltre a Costa da Andrea Costa ho conosciuto anche IDA e DEA.

Nomi normali?
Mica tanto: il padre, vecchio anarchico e sindacalista era stato cacciato dalle miniere della Francia  dove era emigrato e aveva dovuto tornare nell’Italia di Mussolini dove era sorvegliato speciale.
Alla nascita della figlia, nonostante fosse saldamente ateo, fece un patto con l’arciprete: avrebbe lasciato che la piccola fosse battezzata con un nome innocuo come Ida o Dea in attesa della caduta del fascismo dopodiché il prete avrebbe tirato fuori i documenti che testimoniavano  che la piccola era stata battezzata col nome di IDEA….
E, come dicono nelle storie, così fu.

Era una famiglia speciale davvero: la sorella di IDEA si chiamava RIVOLTA (non so con quale sotterfugio di nuovo con il prete chiaramente connivente e un po’ ribelle anche lui).
Idea e Rivolta poi avevano un fratello che di nome si chiamava Ferri. Era il cognome di un compagno di miniera, ucciso dalla polizia francese durante uno sciopero.
Nomi per ricordare, affermare, rivendicare,  per dare a quel nome e a quello che rappresenta una speranza ed un futuro e a quel bambino l’augurio di esserne all’altezza.

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